IL MONZA SI RACCONTA – I GIOVEDI DI FIORENZO DOSSO. La magia dei ricordi. E di mille episodi della ‘nostra’ storia. Raccontata da Chi la custodisce nella mente e nel cuore. Ripercorsa da Chi ne ha fatto la sua ragione di vita. Ed è stato determinante nel regalarci questi anni pieni di sogni. Poi una stagione (1969-70) simbolo di speranza e fiducia. Altri tempi, vero. Ma la ‘nostra’ storia è sempre maestra di vita. Buona lettura https://lnkd.in/eCi2ZEMJ
Post di Fiorenzo Dosso
Altri post rilevanti
-
Con "Tutto quello che non doveva succedere" Andrea Cardoni fa rivivere i quattordici giorni piu' tristi del 1984, da Roma-Liverpool di Coppa Campioni al funerale di Enrico Berlinguer. Questa la mia recensione.
“Tutto quello che non doveva succedere” di Andrea Cardoni
sololibri.net
Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi
-
Happy Husband & Proud Father, Emeritus VPSales&Trade Marketing, Shareholder, Progetto "Giovani senza Capo", Stanford Seed Consultant, Speaker WomenX Impact, YWN Mentor, Ca’ Foscari Mentor
“Giovani senza Capo” Quella mano che accarezza il viso, è l'immagine del trionfo della Reyer Venezia che ieri sera ha vinto il terzo scudetto femminile della propria storia. Quel viso con gli occhi gonfi di lacrime è di una ragazzina di 19 anni che ha giocato, e vinto, la sua prima finale scudetto. Di norma le 19 enni, e i 19 enni, spesso nelle finali sventolano gli asciugamani o entrano in campo a fine partita. Lei, nel 3-0 che la Reyer ha rifilato a Schio in finale, ha chiuso la serie con queste cifre: 15.3 punti, col 66% da due e il 50% da tre. Forse non è nemmeno tanto sorprendente tenendo conto che a 14 anni aveva segnato 21 punti in una partita di Serie A, e a 15 anni era diventata la prima di sempre a segnarne 36. Ma giocare una finale scudetto, con la maglia di una delle squadre più forti d'Italia, è tutta un'altra cosa. Lei si chiama Matilde Villa, gioca stabilmente anche in Nazionale, e dopo questo trionfo volerà dall'altra parte dell'oceano per indossare la maglia delle Atlanta Dream, cercando di farsi valere anche in WNBA. Viviamo in un momento storico nel quale gli Stati Uniti sono letteralmente impazziti per quel fenomeno assoluto di Caitlin Clark. L'Italia, nel suo piccolo e con le dovute proporzioni, ha una giocatrice che ha bruciato le tappe come poche altre prima di lei, e ha davvero tutto per diventare simbolo del nostro movimento. Non vediamo l'ora di leggere i prossimi capitoli del libro di Matilde Villa. Fonte: https://lnkd.in/eyFGSHAN ___ Il nostro Paese è pieno di ragazzi e ragazze come Matilde Villa. Loro ci sono, quello che manca è un contesto in grado di valorizzare il loro desiderio di fare. Parliamo di talento, parola che trovo priva di qualsiasi riferimento se associata ai luoghi chiamati lavoro dove di solito viene sprecato il talento individuale che risiede in ognuno di noi senza distinzione di genere, età ... Perchè sprecato? Perchè prendiamo adulti e, appena varcano la soglia del luogo di lavoro, li trattiamo come bambini e bambine delle elementari. Perchè nel 66% dei casi in Italia i ruoli di responsabilità non si ottengono per competenza, ma per discendenza. E' un compito di cui si occupa la cicogna. Se un rubinetto perde abbiamo due possibilità. Lasciare che continui a perdere sprecando tantissima acqua oppure chiamare un idraulico. Con i giovani scegliamo la prima opzione. ___ #giovani #odiolafuffa #nobarlafus #piediperterra
Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi
-
vi aspetto domenica per rivelazioni soprendenti sull'immagine di marco polo
Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi
-
Traduttrice Italiana di Chess.com | Traduttrice FR/EN/ES > IT, consulente linguistica e correttrice di bozze
Il giornalista di AGI Alessandro Frau ha recentemente intervistato il Grande Maestro Lorenzo Lodici, giovane e brillante giocatore italiano del quale abbiamo molto sentito parlare durante l'Olimpiade 2024: Lodici si è infatti distinto per alcune vittorie importanti, tra cui quella contro il GM Anish Giri, ex numero 5 al mondo, e il GM Peter Leko, ex sfidante al titolo mondiale. Ho riassunto i punti salienti dell'intervista in questo articolo ⬇
Lodici: non giocherò i Campionati Italiani, ma i Mondiali Rapid e Blitz sì
chess.com
Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi
-
Eccellente sintesi di molti valori umani da rispettare, difendere e condividere. Avanti così.
Siamo una generazione che ha avuto l’enorme fortuna di seguire ed impazzire per sportivi incredibili, da Alberto Tomba a Valentino Rossi, da Deborah Compagnoni a Federica Pellegrini. Abbiamo palpitato per l’epopea di Roberto Baggio, l’unico calciatore italiano - con la parziale eccezione di Paolo Maldini e Francesco Totti - ad aver assunto una dimensione globale negli ultimi trent’anni, dopo la generazione di Paolo Rossi. Abbiamo la sensazione, però, che uno come Jannik Sinner non ci sia mai capitato. Un fenomeno assoluto, un genio del tennis, ma anche lontano mille miglia da molte delle caratteristiche dei campionissimi che abbiamo elencato: spesso eccentrici, complessi, esagerati, alteri, irraggiungibili. Sinner riesce nell’impresa di unire le emozioni profonde che suscita giocando un tennis riservato agli eletti a una perfezione dei gesti, della parola e dei comportamenti a cui francamente siamo disabituati. Non ci riferiamo solo al mondo dello sport, perché una persona così ben educata, composta e rispettosa di chiunque si trovi dalle sue parti - dall’ultimo dei raccattapalle al Presidente della Repubblica - è una rarità assoluta per questi tempi non di rado insopportabilmente cafoni ed esagerati. C’è da chiedersi cosa potremmo aver mai fatto per meritarci un simile ragazzo, compendio di bellezza tecnica e pulizia umana. Ci sono il trionfo di poche ore fa a Miami e il modo in cui ha cancellato dal campo il numero 4 e il numero 11 del mondo, ci sono il primo Slam della storia italiana e un filotto di vittorie che fa spavento anche solo a scriverlo (25 su 26, senza contare i miracoli in Coppa Davis), ma se dovessimo scegliere un esempio per provare a sintetizzare quanto abbiamo scritto torneremmo alle folli giornate romane successive al trionfo di Melbourne. Chi avrebbe resistito a quell’ordalia di show, ringraziamenti e passerelle senza perdere 1 grammo di concentrazione? Chi avrebbe rinunciato ai 20 milioni di spettatori di Sanremo? Jannik Sinner. Punto. L’assoluta, totale serietà in cui è tornato a immergersi all’istante, dopo essersi concesso il giro d’onore - perché sentiva che fosse giusto farlo - ha certificato come poche altre cose le stimmate della leggenda. Questo ragazzo potrà vincere tantissimo in campo, ma potrebbe fare qualcosa di ancora più importante: essere d’esempio, in una fase storica in cui ci siamo colpevolmente illusi che il sudore, la fatica, l’apprendimento, il senso del del sacrificio, l’onore, il rispetto dell’avversario e delle difficoltà non contassero poi così tanto. Che bastasse più apparire che essere, più parlare che fare. Ecco, guardiamoci Jannik, non contiamo i denari che vince giocando (esercizio sostanzialmente volgare), riflettiamo sulla fatica e i sacrifici necessari per poter essere così come lui è. La Ragione
Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi
-
Articolo azzeccatissimo! Grazie Fulvio Giuliani per queste parole. Nulla da aggiungere, se non lo spassionato consiglio di leggere fino in fondo il post.
Siamo una generazione che ha avuto l’enorme fortuna di seguire ed impazzire per sportivi incredibili, da Alberto Tomba a Valentino Rossi, da Deborah Compagnoni a Federica Pellegrini. Abbiamo palpitato per l’epopea di Roberto Baggio, l’unico calciatore italiano - con la parziale eccezione di Paolo Maldini e Francesco Totti - ad aver assunto una dimensione globale negli ultimi trent’anni, dopo la generazione di Paolo Rossi. Abbiamo la sensazione, però, che uno come Jannik Sinner non ci sia mai capitato. Un fenomeno assoluto, un genio del tennis, ma anche lontano mille miglia da molte delle caratteristiche dei campionissimi che abbiamo elencato: spesso eccentrici, complessi, esagerati, alteri, irraggiungibili. Sinner riesce nell’impresa di unire le emozioni profonde che suscita giocando un tennis riservato agli eletti a una perfezione dei gesti, della parola e dei comportamenti a cui francamente siamo disabituati. Non ci riferiamo solo al mondo dello sport, perché una persona così ben educata, composta e rispettosa di chiunque si trovi dalle sue parti - dall’ultimo dei raccattapalle al Presidente della Repubblica - è una rarità assoluta per questi tempi non di rado insopportabilmente cafoni ed esagerati. C’è da chiedersi cosa potremmo aver mai fatto per meritarci un simile ragazzo, compendio di bellezza tecnica e pulizia umana. Ci sono il trionfo di poche ore fa a Miami e il modo in cui ha cancellato dal campo il numero 4 e il numero 11 del mondo, ci sono il primo Slam della storia italiana e un filotto di vittorie che fa spavento anche solo a scriverlo (25 su 26, senza contare i miracoli in Coppa Davis), ma se dovessimo scegliere un esempio per provare a sintetizzare quanto abbiamo scritto torneremmo alle folli giornate romane successive al trionfo di Melbourne. Chi avrebbe resistito a quell’ordalia di show, ringraziamenti e passerelle senza perdere 1 grammo di concentrazione? Chi avrebbe rinunciato ai 20 milioni di spettatori di Sanremo? Jannik Sinner. Punto. L’assoluta, totale serietà in cui è tornato a immergersi all’istante, dopo essersi concesso il giro d’onore - perché sentiva che fosse giusto farlo - ha certificato come poche altre cose le stimmate della leggenda. Questo ragazzo potrà vincere tantissimo in campo, ma potrebbe fare qualcosa di ancora più importante: essere d’esempio, in una fase storica in cui ci siamo colpevolmente illusi che il sudore, la fatica, l’apprendimento, il senso del del sacrificio, l’onore, il rispetto dell’avversario e delle difficoltà non contassero poi così tanto. Che bastasse più apparire che essere, più parlare che fare. Ecco, guardiamoci Jannik, non contiamo i denari che vince giocando (esercizio sostanzialmente volgare), riflettiamo sulla fatica e i sacrifici necessari per poter essere così come lui è. La Ragione
Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi
-
Systemic & Holistic Counselor | Conscious Change Facilitator | Leadership Mentor | Facilito il cambiamento individuale e organizzativo
Un esempio di professionalità completa e indiscutibile da cui prendere ispirazione. Sì un esempio straordinario di come affrontare le sfide quotidiane e il successo. Un esempio un tipo di leadership che fa ben sperare per il futuro di molti giovani. #leadership #awareness #beyourself
Siamo una generazione che ha avuto l’enorme fortuna di seguire ed impazzire per sportivi incredibili, da Alberto Tomba a Valentino Rossi, da Deborah Compagnoni a Federica Pellegrini. Abbiamo palpitato per l’epopea di Roberto Baggio, l’unico calciatore italiano - con la parziale eccezione di Paolo Maldini e Francesco Totti - ad aver assunto una dimensione globale negli ultimi trent’anni, dopo la generazione di Paolo Rossi. Abbiamo la sensazione, però, che uno come Jannik Sinner non ci sia mai capitato. Un fenomeno assoluto, un genio del tennis, ma anche lontano mille miglia da molte delle caratteristiche dei campionissimi che abbiamo elencato: spesso eccentrici, complessi, esagerati, alteri, irraggiungibili. Sinner riesce nell’impresa di unire le emozioni profonde che suscita giocando un tennis riservato agli eletti a una perfezione dei gesti, della parola e dei comportamenti a cui francamente siamo disabituati. Non ci riferiamo solo al mondo dello sport, perché una persona così ben educata, composta e rispettosa di chiunque si trovi dalle sue parti - dall’ultimo dei raccattapalle al Presidente della Repubblica - è una rarità assoluta per questi tempi non di rado insopportabilmente cafoni ed esagerati. C’è da chiedersi cosa potremmo aver mai fatto per meritarci un simile ragazzo, compendio di bellezza tecnica e pulizia umana. Ci sono il trionfo di poche ore fa a Miami e il modo in cui ha cancellato dal campo il numero 4 e il numero 11 del mondo, ci sono il primo Slam della storia italiana e un filotto di vittorie che fa spavento anche solo a scriverlo (25 su 26, senza contare i miracoli in Coppa Davis), ma se dovessimo scegliere un esempio per provare a sintetizzare quanto abbiamo scritto torneremmo alle folli giornate romane successive al trionfo di Melbourne. Chi avrebbe resistito a quell’ordalia di show, ringraziamenti e passerelle senza perdere 1 grammo di concentrazione? Chi avrebbe rinunciato ai 20 milioni di spettatori di Sanremo? Jannik Sinner. Punto. L’assoluta, totale serietà in cui è tornato a immergersi all’istante, dopo essersi concesso il giro d’onore - perché sentiva che fosse giusto farlo - ha certificato come poche altre cose le stimmate della leggenda. Questo ragazzo potrà vincere tantissimo in campo, ma potrebbe fare qualcosa di ancora più importante: essere d’esempio, in una fase storica in cui ci siamo colpevolmente illusi che il sudore, la fatica, l’apprendimento, il senso del del sacrificio, l’onore, il rispetto dell’avversario e delle difficoltà non contassero poi così tanto. Che bastasse più apparire che essere, più parlare che fare. Ecco, guardiamoci Jannik, non contiamo i denari che vince giocando (esercizio sostanzialmente volgare), riflettiamo sulla fatica e i sacrifici necessari per poter essere così come lui è. La Ragione
Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi
-
Ho fatto leggere questo articolo ai miei figli
Siamo una generazione che ha avuto l’enorme fortuna di seguire ed impazzire per sportivi incredibili, da Alberto Tomba a Valentino Rossi, da Deborah Compagnoni a Federica Pellegrini. Abbiamo palpitato per l’epopea di Roberto Baggio, l’unico calciatore italiano - con la parziale eccezione di Paolo Maldini e Francesco Totti - ad aver assunto una dimensione globale negli ultimi trent’anni, dopo la generazione di Paolo Rossi. Abbiamo la sensazione, però, che uno come Jannik Sinner non ci sia mai capitato. Un fenomeno assoluto, un genio del tennis, ma anche lontano mille miglia da molte delle caratteristiche dei campionissimi che abbiamo elencato: spesso eccentrici, complessi, esagerati, alteri, irraggiungibili. Sinner riesce nell’impresa di unire le emozioni profonde che suscita giocando un tennis riservato agli eletti a una perfezione dei gesti, della parola e dei comportamenti a cui francamente siamo disabituati. Non ci riferiamo solo al mondo dello sport, perché una persona così ben educata, composta e rispettosa di chiunque si trovi dalle sue parti - dall’ultimo dei raccattapalle al Presidente della Repubblica - è una rarità assoluta per questi tempi non di rado insopportabilmente cafoni ed esagerati. C’è da chiedersi cosa potremmo aver mai fatto per meritarci un simile ragazzo, compendio di bellezza tecnica e pulizia umana. Ci sono il trionfo di poche ore fa a Miami e il modo in cui ha cancellato dal campo il numero 4 e il numero 11 del mondo, ci sono il primo Slam della storia italiana e un filotto di vittorie che fa spavento anche solo a scriverlo (25 su 26, senza contare i miracoli in Coppa Davis), ma se dovessimo scegliere un esempio per provare a sintetizzare quanto abbiamo scritto torneremmo alle folli giornate romane successive al trionfo di Melbourne. Chi avrebbe resistito a quell’ordalia di show, ringraziamenti e passerelle senza perdere 1 grammo di concentrazione? Chi avrebbe rinunciato ai 20 milioni di spettatori di Sanremo? Jannik Sinner. Punto. L’assoluta, totale serietà in cui è tornato a immergersi all’istante, dopo essersi concesso il giro d’onore - perché sentiva che fosse giusto farlo - ha certificato come poche altre cose le stimmate della leggenda. Questo ragazzo potrà vincere tantissimo in campo, ma potrebbe fare qualcosa di ancora più importante: essere d’esempio, in una fase storica in cui ci siamo colpevolmente illusi che il sudore, la fatica, l’apprendimento, il senso del del sacrificio, l’onore, il rispetto dell’avversario e delle difficoltà non contassero poi così tanto. Che bastasse più apparire che essere, più parlare che fare. Ecco, guardiamoci Jannik, non contiamo i denari che vince giocando (esercizio sostanzialmente volgare), riflettiamo sulla fatica e i sacrifici necessari per poter essere così come lui è di Fulvio Giuliani
Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi
-
Giornalista presso Rmc Motori. Ha fondato il premio Motorsport Passion, gli Oscar dedicati ai protagonisti del mondo racing e non solo.
Una bella intervista di Riccardo Patrese fatta da Massimiliano Castellani che vi invito a leggere, nel link un Riccardo inedito
F.1 RICCARDO PATRESE Ora allevo cavalli e la Formula 1 ha perso l'anima - RMC Motori
rmcmotori.com
Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi
-
"A società, famiglia ed amici che mi dicevano “Una bambina non può giocare a calcio” io rispondevo “Allora sono un maschio, basta che mi facciate giocare”. Mentre a Montreal viene annunciato il nome del nuovo club femminile di calcio della città, i Roses 🌹🌹🌹, non posso fare a meno di ripensare all'emozionante conversazione con Alice Pignagnoli. Alice, con pacatezza e determinazione ci ha trasmesso la sua passione per il calcio, ma anche la sua lotta contro le disparità (e aggiungerei le discriminazioni), che le bambine affrontano fin da piccole nello sport. Le cifre parlano chiaro 📊: Tra bambine e bambini di età compresa tra i 6 e i 10 anni, circa il 63% dei maschi pratica regolarmente sport, contro il 49% delle bambine. Nella fascia di età tra i 14 e i 19 anni, la differenza si amplifica: 59% dei ragazzi contro 40% delle ragazze. Nel 2021, secondo i dati del CONI, circa il 78% degli atleti tesserati nelle federazioni sportive italiane erano uomini, con solo il 22% di donne. La strada verso le pari opportunità è ancora lunga, anche nello sport. Sarebbe bello vedere aziende e istituzioni che operano in questo ambito mobilitarsi maggiormente per sostenere l’empowerment femminile. Non solo sarebbe una scelta giusta ✔️, ma anche intelligente: alcune stime indicano che l’audience degli sport femminili in Italia è cresciuta del 30-40% negli ultimi 5 anni!
L’amore del calcio ha portato Alice Pignagnoli lontano, anche se ha dovuto lottare, sempre. Alice Pignagnoli nel suo ruolo di portiera ha giocato oltre 250 partite in Serie A (l’esordio con il Milan) e B, con la Torres ha vinto una Supercoppa italiana e uno scudetto. Non si è mai arresa, raccontando a cuore aperto, in diverse interviste, le sue soddisfazioni, ma anche le grandi difficoltà di essere donna, calciatrice e madre. Emblematico il titolo del suo libro pubblicato per Minerva: “Volevo solo fare la calciatrice”. Oggi veste la maglia biancazzurra della Pro Palazzolo, squadra che le sta permettendo di conciliare le sue esigenze di mamma con quelle di campo. L’abbiamo intervistata, come simbolo di una donna che fin da bambina ha saputo scegliere e perseguire quella che riteneva la sua strada. Estratto: Sei fiera del tuo lavoro? (Jasmin, 10 anni) “Sì, tantissimo, perché ho combattuto molto per arrivarci, ho abbattuto tanti muri e, attraverso la mia storia, ne stanno cadendo altri. Sono molto orgogliosa per questo.” 👉 Leggi l'intervista completa, link nel primo commento. #betshecan #IntervisteBetSheCan #CarrieraDonna #stem #womanempowerment #stereotipi
Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi