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Document 52023AE2300

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul trasferimento dei procedimenti penali [COM(2023) 185 final — 2023/0093 (COD)]

EESC 2023/02300

GU C, C/2023/869, 8.12.2023, ELI: http://data.europa.eu/eli/C/2023/869/oj (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, GA, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

ELI: http://data.europa.eu/eli/C/2023/869/oj

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Gazzetta ufficiale
dell'Unione europea

IT

Serie C


C/2023/869

8.12.2023

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul trasferimento dei procedimenti penali

[COM(2023) 185 final — 2023/0093 (COD)]

(C/2023/869)

Relatore:

Vasco DE MELLO

Consultazione

Commissione europea, 20.9.2023

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

5.9.2023

Adozione in sessione plenaria

20.9.2023

Sessione plenaria n.

581

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

209/0/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La proposta di regolamento in esame si prefigge di colmare alcune lacune del regime del mandato d’arresto europeo — creando un regime comune per il trasferimento dei procedimenti penali tra gli Stati membri ed evitando in tal modo la duplicazione di procedimenti penali per gli stessi reati e le stesse persone in più Stati membri (principio del ne bis in idem) — nonché di evitare e ridurre i casi di impunità ascrivibili al mancato esercizio dell’azione penale.

1.2.

A tal fine è stabilito un insieme di norme uniformi per la cooperazione tra gli Stati membri nel trasferimento e nella ricezione dei procedimenti penali.

1.3.

Inoltre, la proposta in esame è tesa a creare una struttura digitale comune che consenta la trasmissione degli atti processuali.

1.4.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l’iniziativa della Commissione in materia.

1.5.

Nondimeno, per quanto riguarda taluni aspetti del testo, il CESE reputa che alcuni punti debbano essere integrati o corretti.

1.6.

Così, per quanto concerne i diritti fondamentali delle parti, il CESE ritiene che occorra fare esplicito riferimento sia alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché ad altri atti normativi che hanno lo scopo di proteggere i diritti fondamentali.

1.7.

Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che il regime proposto non potrà essere utilizzato dagli indagati/imputati per ottenere, a piacimento, un regime giuridico a loro più favorevole attraverso l’applicazione di norme processuali.

1.8.

Il CESE plaude alla decisione di mettere in campo strumenti digitali comuni, tesi ad accelerare i procedimenti, e reputa che la creazione di tali strumenti debba essere finanziata con fondi europei.

1.9.

Tuttavia, come già sottolineato in pareri precedenti, il canale di comunicazione cartaceo dovrebbe essere mantenuto, per tenere conto delle persone che, per vari motivi, non hanno accesso a strumenti informatici.

1.10.

Il CESE ritiene che l’intero processo di traduzione debba essere effettuato con il massimo rigore, senza consentire a tal fine un’applicazione dell’intelligenza artificiale — o di altri mezzi meccanici — che escluda l’intervento umano.

1.11.

Il CESE ritiene che la legislazione debba prevedere il diritto delle parti che giudichino inadeguata la traduzione degli atti processuali di proporre ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale superiore.

1.12.

Come già affermato in pareri precedenti, il CESE ritiene che debba essere impartita una formazione adeguata sia a tutti i professionisti del settore che ad altri soggetti interessati, come i traduttori.

1.13.

A giudizio del CESE, è opportuno che, in relazione all’applicazione della normativa in esame, sia previsto un metodo di risoluzione dei conflitti negativi di giurisdizione.

1.14.

Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che bisognerà eliminare la possibilità per l’autorità richiedente di poter trasmettere all’autorità richiesta, qualora sia accettato il trasferimento del procedimento, non l’intero fascicolo processuale ma soltanto una parte di esso.

1.15.

Ciò eliminerebbe il rischio che si verifichino atti arbitrari, che sarebbero invece perfettamente possibili con la trasmissione parziale dei fascicoli.

2.   Contesto del parere

2.1.

L’esistenza di uno spazio unico con libera circolazione delle persone, dei capitali, dei beni e dei servizi comporta, come rovescio della medaglia, la creazione di uno spazio senza frontiere in cui possono essere svolte attività criminose.

2.2.

Da tempo immemorabile le società umane hanno delegato allo Stato il potere di punire coloro che violano la legge e commettono reati, in contrapposizione alla giustizia privata e retributiva basata sulla legge del taglione, ossia «occhio per occhio, dente per dente».

2.3.

L’esistenza di uno ius puniendi, vale a dire della possibilità per lo Stato di punire coloro che, sul suo territorio, violano le sue leggi e commettono pertanto reati o che, nel territorio di un altro paese, commettono atti criminosi contro i suoi cittadini, è una caratteristica intrinseca fondamentale dei poteri sovrani di uno Stato (1).

2.4.

Si tratta di un potere sovrano così importante per gli Stati che la maggior parte delle costituzioni riserva e conferisce la competenza esclusiva a legiferare in questa materia all’assemblea legislativa.

2.5.

Tuttavia, l’esercizio dello ius puniendi da parte dello Stato — che può portare, come massima pena irrogabile, a privare un cittadino della libertà — deve essere sempre accompagnato da un solido corpus di diritti fondamentali della persona, volto a proteggere i cittadini da eventuali abusi o comportamenti arbitrari, così caratteristici di chi non rispetta la nozione di «Stato di diritto».

2.6.

Come indicato in precedenza, l’esistenza di un mercato unico pone numerose sfide all’applicazione della giustizia penale.

2.7.

Infatti, l’esistenza di questo spazio senza frontiere al cui interno vige la libera circolazione di persone, capitali, beni e servizi, potrebbe permettere di condurre impunemente attività criminose in territori diversi, oppure dar luogo ad autentici «santuari» per i criminali, se gli autori dei reati non saranno perseguiti anche al di là dei confini nazionali.

2.8.

Con il progredire dell’integrazione europea, la necessità di una maggiore cooperazione nei campi della sicurezza e della giustizia penale è diventata più pressante. Ciò ha indotto inizialmente gli Stati membri a stipulare tra loro vari trattati in materia di estradizione e di cooperazione giudiziaria (2) e in seguito a inserire questa materia nel trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), sia quale competenza concorrente tra l’Unione e gli Stati membri, sia attraverso il riconoscimento ufficiale della creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia sul territorio di tutta l’Unione europea (3).

2.9.

Si è così passati da una cooperazione intergovernativa basata su trattati in materia di cooperazione giudiziaria e di estradizione conclusi tra Stati (in cui il potere decisionale è suddiviso tra potere esecutivo e potere giudiziario) a un sistema di cooperazione in cui il potere di decidere spetta alle autorità giudiziarie competenti, senza interferenze di alcun tipo da parte del potere esecutivo che, diversamente dalla procedura di estradizione, risulta totalmente escluso dalle procedure stabilite.

2.10.

Questo cambiamento di paradigma — che, come già detto, è stato sancito nel TFUE — ha come pietra angolare il principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie in materia penale (4).

2.11.

Tuttavia, l’esistenza di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea sarà possibile solo se vi sarà un equilibrio tra i principi di libertà, sicurezza e giustizia, altrimenti i diritti, le libertà e le garanzie fondamentali di ogni cittadino rischieranno di passare in secondo piano, in nome di una sicurezza e di una giustizia apparenti e di stampo totalitario.

2.12.

Per avere fiducia nell’applicazione del principio del riconoscimento reciproco, è necessario che gli Stati membri rispettino i diritti fondamentali dei cittadini in maniera uguale o equivalente, in modo da poter nutrire fiducia e certezza nell’autorità competente dello Stato del riconoscimento cui spetta l’esecuzione della decisione giudiziaria riconosciuta.

2.13.

Il principio del riconoscimento reciproco ha trovato la sua prima attuazione concreta nel campo del diritto penale, con il mandato d’arresto europeo (5), e successivamente in altri atti normativi di natura simile, tra cui — ad esempio — l’ordine europeo di indagine (6).

2.14.

Il regime del mandato di arresto europeo, pur sancendo il principio del riconoscimento reciproco, non pregiudica il rispetto dei diritti, delle libertà e delle garanzie dei cittadini (7).

3.   Osservazioni generali

3.1.

Come nel caso del mandato d’arresto europeo, la normativa in esame, volta a disciplinare le modalità di trasferimento dei procedimenti penali da uno Stato membro all’altro, rappresenta un mezzo per combattere — più efficacemente e speditamente — la criminalità che agisce in più paesi, e in particolare la criminalità organizzata.

3.2.

La proposta legislativa in esame, tuttavia, a differenza di quella che ha introdotto il mandato di arresto europeo, mira a creare uno strumento di cooperazione giudiziaria unico, valido per l’intera Unione europea e applicabile direttamente.

3.3.

Tramite il nuovo regolamento ci si prefigge di colmare alcune lacune del regime del mandato d’arresto europeo, nonché di migliorare la giustizia penale europea e di renderla più efficace; si prenda, ad esempio, il fatto di voler evitare la duplicazione dei procedimenti per gli stessi reati e le stesse persone in più Stati membri, oppure di voler evitare e ridurre i casi di impunità ascrivibili al mancato esercizio dell’azione penale.

3.4.

Questo obiettivo non può tuttavia essere conseguito senza un profondo rispetto dei diritti fondamentali della persona nel corso dell’intera procedura, e in particolare di quelli dei soggetti più fragili e indifesi, delle persone con disabilità e dei minori.

3.5.

D’altro canto, la proposta di regolamento in esame è intesa ad accrescere la certezza del diritto per quanto concerne il trasferimento di procedimenti giudiziari tra Stati membri.

3.6.

Il CESE considera importanti tutte le iniziative volte a combattere ogni forma di criminalità transfrontaliera negli Stati membri e in particolare la criminalità organizzata (8).

3.7.

Il fatto che nel territorio dell’Unione europea esistano e operino organizzazioni criminali le cui attività sono estremamente dannose per la società europea richiede una risposta congiunta forte, altrimenti si verificheranno casi di impunità, una situazione che non è davvero auspicabile.

3.8.

Il CESE ritiene che il ricorso, da parte della Commissione, allo strumento legislativo del regolamento sia una scelta audace: la normativa proposta, infatti, disciplina una materia che, pur rientrando nella competenza concorrente tra gli Stati membri e l’Unione europea (9), è estremamente delicata per gli Stati membri, dato che, come osservato sopra, i poteri in essa esercitati sono parte essenziale della sovranità dello Stato.

3.9.

Il CESE ritiene tuttavia che la scelta compiuta sia quella più corretta, nella misura in cui rappresenta l’unico modo per riuscire a raggiungere l’obiettivo di uniformare le procedure in tutti gli Stati membri (10).

3.10.

Come peraltro indicato nella relazione che accompagna la proposta di regolamento in esame, è solo attraverso l’esistenza di norme comuni sul trasferimento dei procedimenti penali che si potrà contrastare efficacemente la criminalità transfrontaliera.

3.11.

Il CESE considera corretto il modo in cui la protezione dei diritti fondamentali dei cittadini — dal punto di vista dell’indagato/imputato o della vittima — è stata assicurata nella proposta di regolamento in esame, ossia attraverso l’esistenza di un elenco tipizzato dei motivi per rifiutare il trasferimento, oppure tramite il diritto dell’indagato/imputato e della vittima ad essere ascoltati e a proporre ricorso.

3.12.

Tuttavia, il CESE ritiene che il regolamento proposto debba fare esplicito riferimento sia alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché ad altri atti normativi che hanno lo scopo di proteggere i diritti fondamentali (11).

3.13.

Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che il possibile trasferimento di procedimenti penali da Stati in cui vige il principio di legalità (12) a Stati in cui vige il principio di opportunità (13) potrebbe rivelarsi un fattore che rischia di favorire gli autori dei reati consentendo loro di ottenere una pena più lieve, un’eventualità che potrebbe risultare dannosa alla luce degli obiettivi che si intendono raggiungere con il testo normativo proposto (14).

3.14.

Per il CESE è estremamente positivo che il trasferimento dei procedimenti tra autorità giudiziarie avvenga attraverso canali digitali.

3.15.

Tuttavia, occorre salvaguardare la possibilità di utilizzare il canale di comunicazione su supporto cartaceo e garantire che le informazioni siano accessibili a tutti, in particolare ai soggetti più fragili e indifesi (15).

3.16.

Il CESE pone tuttavia in rilievo che, a tal fine, non è sufficiente creare un’applicazione condivisa con norme comuni: è necessario creare una potente infrastruttura al livello dell’Unione che sia comune a tutti gli Stati e interoperabile tra i vari sistemi utilizzati dagli Stati membri.

3.17.

Come già sottolineato in pareri precedenti (16), il CESE ritiene che tali investimenti debbano essere finanziati con fondi che dovranno essere erogati dall’Unione.

3.18.

Come già indicato in pareri precedenti (17), secondo il CESE, ai fini di una corretta applicazione della normativa in esame, è necessario impartire una formazione ai professionisti del settore, sia su questa materia che sull’impiego dell’intero sistema digitale da utilizzare per il trasferimento dei procedimenti tra gli Stati membri interessati.

3.19.

Tale formazione dovrà tenere conto delle specificità e delle esigenze degli indagati/imputati, dei testimoni o delle vittime vulnerabili.

3.20.

Anche se la formazione deve essere rivolta in particolare alla magistratura giudicante e ai pubblici ministeri, il CESE ritiene importante migliorare la formazione anche per altri soggetti chiave del procedimento giudiziario, quali avvocati, traduttori e altri (18).

3.21.

Il CESE sottolinea che la precisione e l’affidabilità delle traduzioni di tutta la documentazione contenuta nei fascicoli trasferiti dovrebbero essere quanto più possibile elevate.

3.22.

È importante che gli Stati membri abbiano l’obbligo di garantire l’affidabilità della traduzione dei documenti relativi al procedimento.

3.23.

Il CESE ritiene che la proposta di regolamento in esame debba contenere una norma che vieti una traduzione prodotta con mezzi meccanici o informatici, oppure mediante il ricorso all’intelligenza artificiale.

3.24.

L’impiego di traduzioni senza l’intervento di un essere umano potrebbe portare a conclusioni erronee e, di conseguenza, a processi ingiusti e a decisioni sbagliate.

3.25.

Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che i costi da sostenere per la traduzione dei documenti inerenti al procedimento potrebbero comportare una minore qualità della traduzione, il che avrebbe per effetto di limitare i diritti e le garanzie delle parti nel procedimento.

3.26.

Il CESE ritiene che bisognerà accordare, sia all’indagato/imputato che alla vittima, il diritto di impugnazione/ricorso per questioni attinenti alla traduzione degli atti del procedimento.

3.27.

Infine, due osservazioni conclusive:

3.28.

La proposta di regolamento non fornisce alcuna soluzione in caso di conflitto negativo tra giurisdizioni.

3.28.1.

In altri termini, se l’autorità giudiziaria dello Stato richiesto rifiuta di trasferire il procedimento, ci si potrebbe trovare di fronte alla possibilità che l’azione penale si interrompa, in quanto le autorità dei due Stati membri interessati ritengono di non essere competenti a proseguire il procedimento penale.

3.28.1.1.

Il CESE ritiene che occorra prevedere una procedura giudiziaria per la risoluzione di tali conflitti, procedura che potrebbe passare per l’attribuzione della competenza a dirimerli alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

3.28.2.

Infine secondo il CESE, una volta che il trasferimento del procedimento penale è stato accettato, l’autorità richiedente deve trasmettere il fascicolo originale nella sua interezza — oppure una sua copia — assieme alla relativa traduzione.

3.28.2.1.

Il CESE ritiene pertanto che debba essere eliminato il riferimento alla possibilità di trasmettere soltanto le «parti pertinenti», in quanto ciò pregiudica i diritti di difesa dell’indagato/imputato o quelli delle vittime.

3.28.2.2.

Il tal modo si eviterebbe la tentazione di trasmettere, arbitrariamente, soltanto gli atti processuali che possono essere più convenienti per una o alcune delle parti.

Bruxelles, 20 settembre 2023

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Oliver RÖPKE


(1)  Va osservato che l’applicazione della legislazione di altre giurisdizioni ai reati commessi in un determinato territorio ha sempre rappresentato, per i cittadini del territorio considerato, una chiara manifestazione di perdita della sovranità statale; si pensi, ad esempio, alla situazione in Cina alla fine del XIX secolo, quando alcuni paesi europei costrinsero lo Stato cinese a permettere che i cittadini di tali paesi fossero processati privatamente e conformemente alle leggi del rispettivo paese di origine.

(2)  Cfr. a questo proposito la Convenzione europea di estradizione del 1957, la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, la Convenzione europea sul trasferimento delle procedure penali del 15 maggio 1972, la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, nonché gli innumerevoli trattati — multilaterali o bilaterali — in materia di estradizione conclusi tra i vari Stati membri.

(3)  Cfr. l’articolo 3, paragrafo 2, e l’articolo 4, paragrafo 2, lett. j), nonché il titolo V (e specialmente gli articoli 67 e 82) del TFUE.

(4)  Il principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie in materia penale — sancito all’articolo 67, paragrafo 3, del TFUE — rappresenta, in definitiva, il riconoscimento, da parte di un’autorità competente di uno Stato membro, di una decisione giudiziaria adottata da un’autorità competente di un altro Stato membro. Gli effetti di tale riconoscimento, nello Stato membro dell’autorità competente che ha riconosciuto la decisione giudiziaria, dovrebbero essere equivalenti a quelli prodotti dall’adozione di una decisione giudiziaria da parte di un’autorità nazionale di quello stesso Stato (cfr. Manuel Monteiro Guedes, Do mandado de detenção europeu [Il mandato d’arresto europeo], pag. 65, Almedina, Coimbra, 2006). Il principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie si contrappone al principio della doppia incriminazione; quest’ultimo principio, che è tipico dei trattati di estradizione, comporta la necessità, ai fini proprio dell’estradizione, che i fatti imputati alla persona indagata o sottoposta a procedimento penale costituiscano reato sia nella legislazione dello Stato richiedente l’estradizione che nella legislazione dello Stato cui è stato chiesto di estradare la persona considerata.

(5)  Sul mandato d’arresto europeo cfr. Decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri — Dichiarazioni di alcuni Stati membri sull'adozione della decisione quadro (GU L 190 del 18.7.2002, pag. 1), modificata dalla decisione quadro n. 2009/299/GAI del Consiglio del 26 febbraio 2009, che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo (GU L 81 del 27.3.2009, pag. 24).

(6)  Cfr. la direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa all'ordine europeo di indagine penale (GU L 130 dell’1.5.2014, pag. 1).

(7)  Che ciò corrisponda al vero risulta con assoluta evidenza dall’elenco dei motivi di diniego dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo che possono essere invocati dall’autorità competente del paese di riconoscimento, dai limiti di applicazione del mandato stesso e, infine, dalla previsione di diritti procedurali per l’indagato/imputato.

(8)  Nel suo parere su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Digitalizzazione della giustizia nell’Unione europea — Un pacchetto di opportunità» [COM(2020) 710 final)] (GU C 286 del 16.7.2021, pag. 88), il CESE ha osservato che la digitalizzazione della giustizia è uno strumento essenziale per assicurare un’autentica cooperazione tra le autorità degli Stati membri nella lotta alle pratiche criminali che danneggiano gravemente lo spazio europeo.

(9)  Cfr. l’articolo 4, paragrafo 2, lettera j), del TFUE.

(10)  Ciò potrebbe portare a un processo di federalizzazione, nell’ambito del quale bisognerà fare attenzione a rispettare i sentimenti nazionali.

(11)  È importante che siano ben individuati i concetti dei diritti fondamentali che si intende proteggere, sebbene l’articolo 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea imponga agli Stati membri di rispettare tali diritti quando si tratta di applicare «[…] il diritto dell’Unione […]», sia esso primario o derivato.

(12)  La dottrina giuridica definisce il principio di legalità nei procedimenti penali come l’obbligo giuridico che impone all’autorità giudiziaria di procedere all’azione penale, senza che sia permesso definire la pena da irrogare attraverso un patteggiamento con l’indagato/imputato.

(13)  In contrapposizione al principio di legalità, il principio di opportunità consente all’autorità giudiziaria che procede all’azione penale di poter patteggiare con l’indagato/imputato la pena da irrogare, mentre il giudice ha soltanto il compito di convalidare l’accordo raggiunto.

(14)  Il regolamento proposto non può tradursi in uno strumento per consentire all’indagato/imputato di «ammorbidire» le misure coercitive cui è sottoposto durante la fase di indagine o attenuare l’entità della pena alla quale può essere condannato.

(15)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla digitalizzazione della cooperazione giudiziaria e dell’accesso alla giustizia in materia civile, commerciale e penale a livello transfrontaliero e che modifica taluni atti nel settore della cooperazione giudiziaria [COM(2021) 759 final — 2021/0394 (COD)] e sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/8/CE del Consiglio, le decisioni quadro del Consiglio 2002/465/GAI, 2002/584/GAI, 2003/577/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI, 2008/947/GAI, 2009/829/GAI e 2009/948/GAI e la direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda la digitalizzazione della cooperazione giudiziaria [COM(2021) 760 final — 2021/0395 (COD)] (GU C 323 del 26.8.2022, pag. 77).

(16)   GU C 286 del 16.7.2021, pag. 88.

(17)   GU C 323 del 26.8.2022, pag. 77 e GU C 286 del 16.7.2021, pag. 88.

(18)  Nella stessa ottica, cfr. Garantire la giustizia nell’UE — Una strategia europea di formazione giudiziaria per il periodo 2021-2024, COM(2020) 713.


ELI: http://data.europa.eu/eli/C/2023/869/oj

ISSN 1977-0944 (electronic edition)


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